Nel 1976, nel territorio di Cosa (corrispondente approssimativamente agli attuali territori dei comuni di Orbetello e Capalbio), ebbe inizio lo scavo della villa romana di Settefinestre. Questo scavo, diretto da Andrea Carandini, allora docente all’Università di Siena, portò ad operare nel grossetano un gruppo di lavoro che rappresentava in quel momento una corrente particolarmente avanzata dell’archeologia classica italiana, attenta a una visione globale dell’antichità che andava a comprendere l’economia, la letteratura, la storia degli insediamenti e dei modi di produzione secondo una tendenza che si andava facendo spazio, e non soltanto nelle discipline archeologiche, in molte università italiane e, per l’archeologia, soprattutto a Roma e a Siena. Nuova era la sensibilità per il tema delle metodologie, per il metodo dello scavo e per la cultura materiale, vista non solo come strumento di datazione, ma come fonte della storia economica e sociale dell’antichità.
Ma la grande novità dello scavo era, per l’Italia, la partecipazione diretta degli studenti come scavatori, in quanto uno dei principi su cui si basava il progetto di ricerca era che gli archeologi non potessero delegare alcuna fase dello scavo. Settefinestre è stato perciò anche un grande cantiere didattico dove, nel corso delle sei campagne, circa cinquecento studenti sono entrati in contatto con le regole e la pratica dello scavo stratigrafico.