Il Giardino dell’Archeologia, promosso nel 2017 dal Comune di Grosseto e dalla Soprintendenza, riunisce nello spazio adiacente alla Chiesa e al Convento di S. Francesco numerosi reperti archeologici in pietra, precedentemente collocati in diverse zone della città e non adeguatamente protetti, in particolare gli elementi litici collocati nel percorso lungo le mura medicee, la c.d. passeggiata archeologica. L’allestimento del giardino riprende, nel disegno delle aiuole, l’aspetto dell’orto di San Francesco nel 1755, documentato nella planimetria di Odoardo Warren conservata nell’Archivio di Stato di Firenze.

Nel Giardino dell’Archeologia sono raccolte quattro categorie diverse di reperti archeologici.

Le vasche di marmo

Le due vasche di marmo bianco, con coppia di grandi maniglie a rilievo, sono analoghe a quelle che decoravano i principali edifici termali di età romana.
Questo tipo di vasca è preferibilmente definito labrum, termine che indica i bacini che venivano collocati nel calidarium – l’ambiente più caldo dei complessi termali romani – e utilizzati per le abluzioni.
Di forma sobria ed essenziale, queste vasche hanno riscosso apprezzamento anche nei secoli successivi all’età romana: infatti sono state spesso replicate o riutilizzate come sarcofagi per le sepolture di santi e martiri all’interno delle basiliche cristiane oppure sono state trasformate in fontane, come si può vedere in alcuni angoli del centro di Roma, ad esempio, la vasca con anelli davanti alla Chiesa di Santa Sabina o quelle monumentali in Piazza Farnese.
E’ pertanto possibile che le due vasche rosellane facessero in origine parte delle terme del lussuoso edificio di età romano-imperiale di Villa Passerini a Bagno Roselle e che – sopravvissute all’abbandono dei secoli – siano state successivamente recuperate e reimpiegate all’interno degli ambienti delle vicine terme lorenesi.

I sarcofagi

I tre sarcofagi a semplice cassa rettangolare si ispirano ad una produzione nota in numerosi centri dell’Etruria come Vulci, Castel d’Asso, Norchia e Tuscania. A Vulci le attestazioni coprono un arco cronologico che va dalla fine del IV agli inizi del II secolo a.C., in contemporanea con la produzione di sarcofagi più riccamente decorati.
In numerosi casi, questi sarcofagi vengono riutilizzati nelle epoche successive, come dimostrano le iscrizioni in latino presenti talvolta sulle casse.
Per quanto riguarda i due esemplari realizzati in nenfro, è probabile una loro importazione dal territorio vulcente, dove questo tipo di roccia vulcanica molto compatta è stata frequentemente utilizzata per la realizzazione di opere scultoree durante tutta l’età etrusca, mentre l’uso del nenfro non è finora attestato nelle produzioni di Roselle.

– Sarcofago con cassa in nenfro di forma rettangolare e coperchio in peperino, conformato a tetto displuviato. Le diverse proporzioni di cassa e coperchio e il diverso materiale utilizzato suggeriscono che i due elementi non siano pertinenti fra loro
– Sarcofago in travertino con cassa di forma rettangolare. Su una delle facce minori, si conserva una iscrizione di carattere funerario entro cornice, che ricorda Priscilla, la donna a cui doveva appartenere il sepolcro (CIL XI, 2620):
D(is) M(anibus) / Baccia Priscilla / Sarto(ris) f(ilia) viva sibi / F(aciendum) C(uravit) (9508)
– Sarcofago in nenfro con cassa di forma rettangolare. Su una delle facce, la presenza di una scanalatura poco profonda suggerisce il tentativo di eliminazione di una eventuale iscrizione, in modo che – dopo la prima utilizzazione – la cassa potesse essere riusata come sepoltura per un altro defunto

Gli strumenti per l’attività agricola

Fra i reperti litici, il gruppo delle macine per la molatura del grano e per la lavorazione delle olive costituiscono una importante testimonianza dello svolgimento delle attività agricole nel territorio.
Gli elementi di macina, utilizzata per la molatura del grano, rappresentano la parte fissa (meta), sulla quale veniva incastrato un elemento mobile a forma di doppio tronco di cono (catillus), la cui parte superiore consentiva l’immissione del grano, mentre quella inferiore provvedeva alle operazioni di molatura mediante la rotazione contro le pareti della meta. Questo tipo di macina è spesso presente nei contesti archeologici urbani e rurali di età romana.
Un elemento di forma circolare con canale di scolo è da considerarsi parte dell’attrezzatura per la frantumazione e la spremitura delle olive, nell’ambito della produzione olearia.
Alcuni dei frammenti facevano probabilmente parte dell’allestimento del vecchio Museo di Grosseto, dove, a seguito dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale nel 1943 e dell’alluvione del 1944, subirono, come altri oggetti, gravi danni e perdita dei dati di provenienza

Gli elementi architettonici

Fra gli elementi architettonici figurano porzioni di colonne in granito e in breccia calcarea, due delle quali con base attica, un tipo di base che godrà di notevole fortuna nell’architettura romana, dove sarà adottata per l’ordine corinzio e per quello composito.
I capitelli marmorei sono di diversa tipologia. Uno è in stile corinzio; due sono in stile composito – che utilizza in contemporanea lo stile ionico e lo stile corinzio – , con elementi decorativi che diverranno canonici a partire dall’età flavia; nel territorio grossetano sono noti esemplari analoghi presso il Podere Passerini a Bagno Roselle e sulla sommità della c.d. Colonna dei Bandi in Piazza del Duomo, mentre un capitello con la medesima decorazione è raffigurato in una pubblicazione del 1939 relativa al Museo Civico di Grosseto, dove se ne indica la provenienza dall’area delle terme rosellane.
Questi elementi confermano l’ipotesi dell’attribuzione di buona parte di questi materiali architettonici al contesto archeologico di Villa Passerini a Bagno Roselle, dove le sorgenti termali – tuttora attive – erano apprezzate fin dall’antichità.
Il complesso residenziale con vasta area termale di probabile uso pubblico, costruito fra la fine del I e gli inizi del II secolo d.C. – come indicano i bolli sui laterizi – e utilizzato almeno fino al III secolo d.C., aveva una planimetria a T ed era dotato di due cortili porticati, uno dei quali arricchito da colonne in marmo con capitelli di tipo corinzio e composito. Le prime indagini nell’area vennero effettuate a partire dal 1833 dai proprietari, così come descritto da Clemente Santi nel 1839, e successivamente indagato in più occasioni fino alla fine del Novecento, mettendo in luce tracce di strutture murarie talvolta decorate da lastre marmoree e da pavimenti a mosaico. Il complesso di età romana doveva estendersi fino all’area delle Terme Leopoldine e comprendere la zona ove nel Seicento sorgerà una chiesetta, oggi inglobata all’interno di un bar. (vedi l’incisione su rame di A. Terreni, Veduta degli avanzi di Roselle, degli inizi del XIX secolo).